Ti sposi e la mamma ti fa vivere a casa sua? Troppo poco per reclamare l’usucapione dell’appartamento

In tema di usucapione ventennale di beni immobili, il comportamento della madre, a sua volta usufruttuaria ex lege di quel bene, che ha concesso alla figlia appena sposata l’uso di un appartamento non costituisce requisito valido a far decorrere il tempo utile per l’acquisto originario della proprietà.

Questa la sintesi del principio espresso dalla Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 12571/2014.

Il fatto che ha portato i giudici di piazza Cavour ad esprimersi in questo modo è di quelli usuali: causa tra familiari che litigano in merito alla proprietà di un bene immobile. Chi lo abita ne reclama l’usucapione.

Che cos’è esattamente l’usucapione?

Leggendo le sentenze e le opinioni dottrinarie non è raro veder scritto che l’usucapione rappresenta una modalità di acquisto a titolo originario della proprietà o dei diritti reali di godimento (ad eccezione delle servitù cfr. art. 1061 c.c.), in ragione del possesso dei beni reclamati purché tale possesso sia non vizioso e continuato per un determinato periodo di tempo (variabile dai dieci ai vent’anni a seconda delle circostanze).

Usucapire, quindi, vuol dire divenire proprietari (o usufruttuari o titolari di servitù) per il semplice fatto d’essersi comportati come tali per tanti anni senza che nel frattempo qualcuno abbia agito giudizialmente per contestare tale condotta.

Usucapione, cosa succede se il proprietario contesta il possesso?

Il codice civile, all’art. 1144, specifica che “gli atti compiuti con l’altrui tolleranza non possono servire di fondamento all’acquisto del possesso”.

Insomma chi agisce in un determinato modo con il placet del proprietario, non sta possedendo un bene in modo tale da poterne ricavare l’usucapione. Non sempre è facile provare la tolleranza (spetta a chi la invoca darne prova), come allo stesso tempo non sempre è agevole dimostrare il possesso utile ai fini dell’usucapione. Vista la genericità delle norme, i casi come quello risolto dalla Cassazione con la sentenza n. 12751 paiono significativi in tal senso.

Si diceva che nella causa che ha portato gli ermellini a pronunciare la sentenza in esame, le parti litigavano in merito alla proprietà (ed alla divisione) di un bene immobile. Chi aveva chiesto l’acquisto per usucapione è rimasto deluso.

Motivo? Secondo la Corte regolatrice, che ha confermato la sentenza di secondo grado, era stata la madre a concedere alla propria figlia la casa in uso.

Questo elemento, dicono da piazza Cavour, ha fatto si che “l’inizio della fase di uso del bene da parte della (…) non fosse espressione di impossessamento, ma di una detenzione benevolmente concessa dall’usufruttuario, titolare del diritto di godere della casa, secondo un costume familiare diffuso nel nostro paese (si veda Cass. SU 13603/04 in tema di comodato di casa coniugale)” (Cass. 4 giugno 2014, n. 12571).

Insomma chi reclama l’usucapione della casa concessagli dai genitori per andarci a vivere dopo il matrimonio, non può puntare solamente su questo elemento per avanzare pretese in tal senso.

di Avv. Alessandro Gallucci

Fonte http://www.condominioweb.com/la-figlia-pretende-lacquisto-per-usucapione-delleppartamento.2322#ixzz35uptU6FE
www.condominioweb.com

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